BUFALA ARCHEOLOGICA rimbalzata sul Bilan News da Etienne Dumont

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E’ un romanzo a puntate planetario, il cui episodio capitale è accaduto (meglio sarebbe dire: non è accaduto) a Roma il 27 gennaio scorso. Si aspettava l’ambasciatore svizzero, il procuratore aggiunto, il sovrintendente di Pompei, e ovviamente il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini. Un vero ministro che muove le natiche contrariamente ai trofei della rue de Valois di Parigi.(1) Si trattava di fare il punto sul rientro in possesso delle 45 casse al porto franco di Ginevra, stracolme di opere archeologiche etrusche e romane. Il rientro a casa dopo il sequestro di maggio 2014. Ora, la conferenza stampa non c’è mai stata…

Prima di spiegare i perché e i percome della cosa, che ho letto con delizia nel treno scorrendo il numero di marzo di “Il Giornale dell’Arte”, s’impone un po’ di storia. Dietro l’affaire c’è la coppia Christo   Michaelidis e Robyn Symes . Una coppia in affari e nella vita. Delle persone “notorious” come si dice in inglese quando una celebrità sembra di bassa lega.

“They are living two steps ahead from the police”, dicevano quelli, numerosi, che pensavano che il loro “business” sarebbe finito male

Miglior cliente: Getty

La loro “razzia” tanto per riprendere la parola usata nel “Giornale dell’Arte” ha preso il via el 1971. Il tandem era appena riuscito a vendere al Metropolitan Museum di New York uno stupendo vaso greco firmato dal ceramista ateniese Euphronios verso il 500 A. C.   Un milione di dollari. La somma pareva enorme all’epoca. Si ritrovano poi i duettatori dietroo gli acquisti , tanto spettacolari quanto dubbi, del Getty di Los Angeles, che credeva all’epoca di beneficiare di una sorta di impunità. Tali compere finiranno con il processo spettacolare di una conservatrice, specialista di antichità, e di restituzioni vergognose. Come si poteva far credere che la “ Venere di Morgantina”, acquistata per 18 milioni di dollari dal Getty nel 1998, era uscita dal nulla e non dal suolo sicialiano?

Nel loro libro inchiesta “The Medici Conspiracy”, Peter Watson e Cecilia Todeschini hanno raccontato nel 2006 i risvolti di un tipo di commercio di pezzi archeologici. L’intera professione ne è uscita a volte a torto purtroppo, diabolizzata. Inedito in francese, l’opera cita a profusione i Symes-Michaelidis. C’è da dire che il loro tenore di vita desse all’occhio, durante il periodo d’oro : “Gstaad a febbraio, le Bahamas a marzo, la clinica della Prairie, in Svizzera per il check up di primavera, Londra a giugno, la Grecia d’estate e New York a novembre per le compere”. Tralascio la lista dei beni materiali: non facciamo la figura dei meschini.

Due cadute

Tutto ha una fine. Nel 1999, Christo Michaelidis faceva una caduta mortale in una villa umbra, dove la coppia era stata invitata da amici. Morte naturale, che io sappia. Ma cosa c’è di naturale qui? Le unioni civili all’epoca non esistevano. E continuano a non esserci in quel paese ortodosso bigotto che resta ufficialmente la Grecia. La famiglia Michaelidis si è buttata su Symes con l’avidità che si incontra nei romanzi di Nikos Kazantzakis. Fu il crollo, mentre i rientri in possesso giudiziari e da parte della polizia si moltiplicavano. Bancarotta nel 2003. Prigione nel 2005. L’accusato farà 9 mesi di prigione sui 24 che gli sono stati attribuiti. Una società (oltre tutto, generalmente “off shore”) , la Bdo è stata incaricata della liquidazione dei beni di Symes.

E’ quando l’Italia è entrata in gioco dopo diversi episodi annessi e connessi che mi permetto di fare un balzo. I curatori della Bdo non avevano restituito dei pezzi provenienti da scavi illegali e usciti dal paese senza permesso. Se ne sono ritrovati fino a una vendita di Bonhams, che è comunque più defilata e meno evidente di Christie’s e Sotheby’s. Bisognava pagare il fisco inglese, che aveva stimato lo stock britannico di Michaelidis – Symes in 120 milioni di sterline. Iniziarono trattative delicate con il Medio Oriente. Non so dove si arriva oggi con l’Inghilterra, dove si trovasse il grosse dello stock ( 17.000 opere), poiché sono 700 pezzi confiscati a Ginevra di cui doveva essere questione a Roma il 27 gennaio.

Seri dubbi sull’autenticità

Fine del “flash back”. Perché l’annullamento all’ultimo? Perché è nato un dubbio secondo “il Giornale dell’Arte”. Quale? L’autenticità. Dario Del Bufalo (bella faccia da imperatore romano e magnifico percorso universitario), che pubblica una cronaca in questo mensile, ha del resto espresso dei dubbi sin da febbraio. “ A ben guardare questi bassorilievi,queste teste, questi busti , certi brutti affreschi e perfino due sarcofagi di terracotta descritti come capolavori , mi sembrano strani. Non ci giurerei sull’autenticità. Ho l’impressione che con questa restituzione, come per altre, ci hanno rifilato una patata bollente”. Inoltre: perché sono rimasti ostinatamente invenduti? Grave questione…

In tali condizioni, si capisce l’imbarazzo. Difficile annunciare il rientro del figliol prodigo, come per il vaso di Euphronios (che ha a lungo soggiornato in una cantina ministeriale , prima di vedersi assegnato alla Villa Giulia di Roma ) o la “Venere di Morgantina”. Detto ciò, ci sono altri problemi. Sfogliando lo stesso numero di marzo, ho letto che l’Italia del Sud, e in particolare la Sicilia, dovevano restituire 51 milioni di euro all’Europa. Questi soldi erano destinati a progetti di restauro monumentali o per il rinnovamento di musei che non hanno mai avuto alcun esito. Dossier inconsistenti. Delle restituzioni recenti sono state fatte dagli Usa, in particolare al museo archeologico di Aidone. Ora questo ha appena perso la sua sovvenzione europea per mancanza di professionalità. Il suo piano non aveva alcuna tenuta nel tempo. Si possono fare dei rimpatrii in fanfara e tollerare queste mancanze?

Per oggi la finisco qui. Mi sono reso conto, rileggendomi che ho molto, anzi troppo, semplificato l’affaire Michaelidis- Symes…

(1) Il suo ultimo progetto è distinguere i furti di opere d’arte patrimoniali dai “prestititi” di macchine o di biciclette.

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